CANE MAGGIORE – Fra Rabbia, geografia e fantacalcio
- Elena Turrin
- 11 dic 2020
- Tempo di lettura: 5 min

I Cane Maggiore (foto) sono una band emergente bergamasca, a rappresentarli oggi sono con me Alberto Fumagalli (voce), Andrea Mapelli (chitarra), Davide Moriggi (basso), Paolo Camporesi (tastiere) e ultimo ma non meno importante Roberto Togni (batteria), che ringrazio ancora per aver reso possibile questa chiacchierata assieme -caro Bob, ci si becca presto nelle langhe a sorseggiare Barolo!
Perché a Natale siamo tutti più buoni, salutiamo e nominiamo anche i due membri assenti: Sonny Corradi (voce) e Carlo Costa (chitarra).
Come vi siete reinventati in questo periodo di quarantena?
<<Non c’è stata una nuova invenzione, si lavora con il vecchio stampo; abbiamo rifiutato tutti quei tentativi sciacalli della rete di provare a sostituire il giusto percorso di una band operando online, in via telematica. Procediamo attraverso una collaborazione telefonica: ci scambiamo le idee, lavoriamo su nuovi pezzi e cerchiamo di musicarli (con qualche difficoltà). Questa realtà non porta grandi soddisfazioni, non può essere considerata altro che passeggera: quando si potrà saremo pronti per una ripresa definitiva della vita reale>>.
Come funziona la scrittura di un testo?
<<Noi operiamo al contrario rispetto agli altri musicisti: partiamo dal testo e ci costruiamo attorno le parole della canzone. Solitamente si parte dalla realizzazione della base ma noi facciamo esattamente il contrario: Alb è una fonte inesauribile di materiale>>.
Alberto sogghigna, promette ai colleghi un cesto regalo per Natale e poi mi confessa: <<Io scrivo male: un po’ di pancia, un po’ di cuore. Scrivo con un’ineducazione musicale, non ho una formazione legata a questo ambiente. La musica ha delle regole precise che io non conosco, per questo chiedo aiuto, chiedo educazione ai miei compagni. Ovviamente tutto questo non vale per il kazoo: qui anche i miei colleghi mi riconoscono nel suonarlo una dote incredibile e clamorosa. Ringrazio il cielo anche per avere accanto a me un’altra voce, quella di Sonny: per me è una forma di tutoraggio oltre a essere un punto in più per l’originalità all’interno del gruppo>>.
NdR: ho cercato su Google ‘’kazoo’’ cinque volte prima di capire che diavolo fosse.
Alberto, quanto ti porti dietro della tua formazione teatrale?
<<Sicuramente è un’influenza quasi totale, tuttavia è stata molto temperata negli anni. Come dicevamo, i primi passi che abbiamo mosso erano più carichi di teatro che musica. È stato un inizio piacevole ma anche un errore: ho fatto un caos totale, un miscuglio sbagliato -qui Alberto mi ha regalato una metafora delicatissima- come una torta dove butti dentro tutto quel cazzo che vuoi perché sei goloso, ok? Ok però poi la torta fa cagare>>.
Dal momento che siete in sette, come fate a gestirvi?
<<Come si è detto prima, quando abbiamo cominciato eravamo in quindici, perciò sette ci sembrava anche un buon numero. Indubbiamente siamo in tanti e ci sono contesti specifici in cui questo si avverte di più: alle prove, ad esempio. Oppure quando è ora di prendere decisioni, di scrivere dei pezzi, di registrare. Ovviamente non intendiamo che per scrivere ci mettiamo tutti e sette a tavolino: di solito Albi scrive i testi e Dave si occupa della maggior parte delle parti musicali>>.
Paolo mi ha fatta sorridere, aggiunge: <<Filosoficamente, il sette mi piace molto: è uno dei miei numeri preferiti e lo associo al colore verde scuro. Sono consapevole della difficoltà nel raggiungere una democrazia artistica, tuttavia nel nostro gruppo c’è un buon dialogo. C’è una buona commistione, anche quando lavoriamo non ci concentriamo tutti sullo stesso brano. Sette non è un numero semplice da gestire né sul palco, né dal punto di vista tecnico. Però, in tutta franchezza, sono molto contento di noi>>.
Vi ritrovate nella definizione di musica indie?
<<Sono considerati indie tutti quei gruppi senza un’etichetta specifica. Noi ci definiremmo in altro modo. Condividiamo con questa definizione solo il fatto di essere musica indipendente, il nostro però è una sorta di indie da cantina, underground: siamo meno rilassati, più duri, più rock. Il nostro è un indie ancora non-pop (nel senso di popolare), che mantiene un fattore sognante e poetico -e questo difende la definizione stessa di indie>>.
Avete tutti la stessa età?
<<Alberto si spaccia per ventenne, Davide sembra averne trenta; rispettivamente però sono il più grande e il più giovane. Andiamo dal ’90 al ’99, tutti gli altri stanno in mezzo>>.
Per quale target di età è pensata la vostra musica?
<<Il trucco è che non è pensata! Ci sono molti gruppi, già coordinati da etichette precise, che vanno a colpire un target specifico. Forse è un po’ azzardato ma noi non abbiamo una mira in questo senso; al massimo, quando scriviamo una canzone, ci chiediamo a chi potrebbe piacere. Manca questo ‘’rischio di target’’ perché non facciamo musica consolatoria: abbandoniamo quel principio retorico che, per la massa, è stimolante e confortante. Oggigiorno è controproducente, tuttavia noi respingiamo quel binomio falso e patinato; cerchiamo di raccontare realtà e verità, che sono tutt’altro che retoriche e consolatorie>>.
Mi confessano inoltre che la nonna di un’allieva di Alberto ascolta i Cane Maggiore. Go go go grandma!
Per quanto riguarda la musica, avete sempre avuto il sostegno della vostra famiglia?
Davide: <<se per supportare intendi che mi hanno sempre dato tutto ciò che serviva per fare musica, sì. Anche solo partendo dal farmela conoscere: mia madre in particolare ha un retaggio musicale importante. Quando sono cresciuto ho imparato a suonare la chitarra classica grazie all’indirizzo musicale del mio paese; poi un giorno avevano bisogno di un bassista e sono diventato uno che suona il basso. Ci sono stati dei momenti in cui tutti ci siamo trovati davanti alla fatidica domanda se fare solo musica. Abbiamo sempre la speranza che la musica diventi il solo lavoro, ma quasi tutti noi facciamo anche qualcos’altro, solo Paolo ha deciso di dedicarvisi a tempo pieno. Conciliando tutto ti accorgi che, alla musica, andrebbe concesso più spazio>>.
Su Spotify è possibile trovare Rabbia, il vostro EP. Com’è nato?
<<Avevamo registrato un CD con la compagnia teatrale, ma una volta in campo la formazione attuale volevamo fare qualcosa di nuovo. Della vecchia guardia abbiamo tenuto solo il brano Nerone. Nel costruire Rabbia non c’è stato un filo logico – e se c’è stato ce lo siamo perso. Il titolo è rappresentativo: il nostro EP è un contenitore importante che racchiude, per l’appunto, tanta rabbia. Rabbia che deriva da qualcosa che secondo noi non va, non funziona. Il manifesto di questa rabbia è sicuramente il brano Vomitare. La nostra rabbia ha una potenza determinante, è prestata ad un vicolo artistico che denuncia la presenza di una falla, di un disagio>>.
Isole Far Oer, fra le vostre canzoni, è quella che sta raggiungendo il picco di ascolti; indubbiamente è la preferita del pubblico. È così anche per voi?
<<Assolutamente no! Quando è uscito l’EP abbiamo scommesso su quale canzone avrebbe raggiunto prima i 1000 stream su Spotify. Davide puntava su Vomitare, è innamorato di quella canzone perché è la sua creatura numero uno. Altri su Paolo Fox ma probabilmente ha il difetto, per l’utente medio, di essere troppo lunga. Isole Far Oer è quella a cui siamo meno legati anche per il discorso che affrontavamo poco fa: di tutto l’album è forse quella che sposa di più la definizione di retorica consolatoria>>.
Ultima domanda: perché vi chiamate Cane Maggiore?
<<Il fatto che in sette sia un bordello gestirsi si è visto soprattutto con il nome: le prime date che abbiamo fatto con la band sono state nell’estate del 2019, il nome è saltato fuori solo a febbraio 2020. Prima salivamo sul palco con il nome della compagnia teatrale con cui avevamo iniziato. Solo per scegliere questo nome abbiamo speso serate intere! Cane Maggiore è un nome che funziona bene e ci rappresenta: è una costellazione e comprende Sirio, la stella più luminosa. Anche la parola cane ci piace molto: è degna di una band, si lascia ricordare>>.
La costellazione del Cane Maggiore avrà pure una sua stella più luminosa ma io posso dire che la forza di questo gruppo sta proprio nel fatto che nessuno erga sé stesso a Sirio imponendosi sugli altri. Non è un gioco di potere, il loro, forse proprio perché possiedono il potere di prendere le cose come un gioco. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.
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