LES MOUSTACHES – restituire dignità a un mestiere: pappardelle al teatro con Alberto Fumagalli
- Elena Turrin
- 3 feb 2021
- Tempo di lettura: 6 min
I Les Moustaches nascono a Bergamo come compagnia teatrale under 30.
Chi sono: Federico Fumagalli (presidente), Alberto Fumagalli (autore/regista/attore), Ludovica D'Auria (attrice/regista), Tommaso Ferrero (regista/sceneggiatore), Giulio Morini (costumista/direttore di scena), Pietro Morbelli (aiuto regista/resp. organizzativo).
In copertina: foto di Luca Dondossola.
Lavori:
LA DIFFICILISSIMA STORIA DELLA VITA DI CICCIO SPERANZA
Lo spettacolo è del 2019, ha avuto un inizio e un debutto fortunato. Ha vinto anche diversi premi, quando tutto ricomincerà ci sarà una tournee nazionale. Il fil rouge è una lingua particolare: lo speranzese; è una mistura di dialetti italiani che insieme creano una nuova lingua, basata interamente sul piacere del suono. Lo speranzese ha una grammatica precisa, faticosa e divertente. La cosa importante è discostarsi da qualsiasi precetto intellettuale e abbandonarsi totalmente al piacere del suono: quella parola, inserita in quel contesto e pronunciata in quel modo, ci piaceva. È stato come costruire uno spartito musicale. Naturalmente la paura iniziale è stata quella che la lingua non venisse compresa; alla fine per fortuna è andata bene, lo speranzese ha un suono comprensibile e giustificato, un suono che viene recepito volentieri e non respinto.
IL GIOVANE RICCARDO
È una riscrittura nuova con un’influenza alta, erotica, viscerale, quasi psicologica, del Riccardo III di Shakespeare. Portiamo in scena la figura di Riccardo a diciassette anni, quasi fosse un’anticipazione di quello che è stato -mentre, in realtà, non c’entra nulla. Immaginiamo le difficoltà di Riccardo, un ragazzo giovane e disabile. Riccardo è un rampollo di una famiglia molto ricca che possiede un’azienda di petrolio; egli sogna e si aspetta di ottenere il potere del padre in fin di vita. Si renderà presto conto che questo non accadrà: ed ecco aprirsi dinnanzi a lui una strada di ansie, paure, difetti. Non c’è pietismo nella figura di Riccardo, l’obbiettivo era scoperchiare l’animo umano. È uno spettacolo che ha avuto una discreta fortuna, vincendo per esempio il Fringe Festival di Milano. Purtroppo la pandemia ha bloccato una tournee francese di un mese ad Avignone.
IL PRESIDENTE
È una libera interpretazione del Caligola di Camus che porto assolutamente nel cuore, soprattutto da un punto di vista erotico-emotivo. Il presidente è una rilettura di quel testo, è solo una drammaturgia in finale a un festival a Lugano.
L’OMBRA LUNGA DEL NANO
In uscita nel 2021; è una nuova drammaturgia dove, in scena, ci sarà Ileana D’Ambra. È una rilettura completamente nuova e personale della fiaba di Biancaneve dei fratelli Grimm. Si giunge in ultima analisi a una critica sociale del rapporto di coppia dopo il matrimonio.
BLU
Blu è un’autoproduzione, il nostro primo lavoro nell’ambito dell’audiovisivo (noi nasciamo e cresciamo con il teatro). È un’operazione che si basa sul cambio di personalità, in scena c’è un unico attore che interpreta diversi personaggi. È stato un grande allenamento dal punto di vista registico, recitativo, organizzativo. Noi lo consideriamo un manifesto, una forma allenante alla camera e all’audiovisivo che, come detto prima, non è la nostra prima formazione. Il punto di partenza è il principio camaleontico: facciamo infatti riferimento alla figura dell’animale camaleonte che notoriamente cambia pelle e colore a seconda della situazione per mimetizzarsi ma anche -com’è meno noto- per esprimere le proprie emozioni.
Che cos’è il teatro, eros, agàpe o philia?
Decisamente eros, perché è ciò che amo di più e mi stimola a schiodarmi dalla mia pigrizia. Laddove incrocio l’eros e tutto quello che lo anticipa -la curiosità della ricerca, dello studio, del sapere- mi sento incoraggiato ad abbandonare la non produttività. L’erotico fa pesare meno il culo! Ci associo la fiamma, il potere di un fuoco che brucia, perciò bisogna anche saperlo gestire. Io mi brucio spesso ma lo faccio volentieri, non potrei proprio farne a meno.
Consiglieresti di intraprendere la carriera dell’attore?
Oggi non consiglierei a nessuno in Italia di fare questo mestiere, nonostante io stesso mi ci dedichi. A meno che una persona non detenga un potere economico personale è impossibile praticare questa professione in questo paese perché, il mestiere dell’attore, non esiste! Il mio stipendio è legato all’insegnamento, che affianco al teatro.
Quando insegni cerchi di attuare la tua ‘’piccola rivoluzione’’ nei confronti del teatro?
Ci provo: quando insegno alle scuole medie porto il materiale che ritengo più educativo. Probabilmente sbaglio perché sarebbe più adatto a una fascia d’età più alta. I ragazzi lo ricevono ma è come se andassero a recepirlo con un pizzico di contrasto. Il rischio è quello che pensino che sia un ambiente chiuso e di nicchia. La mia rivoluzione consiste nel portare una consapevolezza concreta fra i banchi. Inoltre aborro il concetto del teatro fatto a scuola: per fare teatro ci vuole tempo. A scuola cerco di concentrarmi sulla lettura e sulla scrittura, lo scopo è che, attraverso esse, qualcuno scelga poi di fare teatro!
Tutti i momenti di crisi evidenziano le storture di un sistema; cosa emerge ora per quanto concerne il teatro?
Il teatro è vittima di quel paradosso per cui, pur vedendone chiaramente il bisogno (specialmente in questo periodo), è una delle istituzioni più danneggiate e meno tutelate. Il teatro è assimilabile a un bambino grassottello bullizzato dallo stato che però non fa nulla per reagire: si limita a mangiare “pagnottelle su pagnottelle” e si compiace dell’umiliazione che riceve. C’è da dire che i primi grandi colpevoli dell’inesistenza della parola ‘’teatro’’ siamo proprio noi del settore, è un ambito che ha il difetto di chiudersi su sé stesso come un bel riccetto: il teatro è per i teatranti. Non c’è quasi mai una vera apertura nei confronti del pubblico; è un cane che si morde la coda: si desidera sempre parlare a un pubblico ampio senza però tenere in conto che la maggior parte delle volte il pubblico stesso è costituito da teatranti. Questo ha danneggiato la potenza culturale e comunitaria del teatro. Penso che qualunque persona non del settore preferisca andare, prima che a teatro, al cinema, a mangiare una pizza, a ballare, a fare una passeggiata. Il teatro viene fatto per il teatro, per questo spesso è percepito come una rottura di scatole.
Una volta, ad esempio, guardavo uno spettacolo, due ore di cui alla fine non ho capito un cazzo. Addirittura ne rimango offeso perché mi sento ignorante! Con me, il pubblico è composto da critici ed esperti e da miei coetanei del settore che ridevano nei momenti convenienti per dimostrare di aver capito l’incomprensibile. Follia! Come se il teatro avesse un codice così intellettuale ed ermetico da essere ritenuto comprensibile solo da chi frequenta lo stesso ambiente.
Qual è la vostra poetica?
Non abbiamo ancora elaborato una nostra poetica, la stiamo cercando. Ci vogliono tempo e pazienza. Ci sono registi di cui apprezzo molto il lavoro estetico ma che non comprendo fino in fondo: nonostante io ne rimanga attratto sento che mi manca qualcosa; purtroppo viviamo in un paese dove la ragione è solo legata al successo. Il nostro obbiettivo è creare una poetica che fondi elementi che ci piacciono con ciò che ci smuove. Vogliamo evitare quell’ermetismo che mina all’inclusività stessa del teatro. Cerchiamo una poetica nella quale possiamo essere compresi, apprezzati e discussi veramente da tutti quanti. Vorremmo essere, in un certo senso, sia intellettuali sia popolari.
Spostare il teatro online per supplire questo periodo strampalato. Ha senso?
No, non ha senso spostare il teatro in tv e/o online. Il teatro è un momento che nasce, cresce e muore nell’istante stesso perciò è impossibile replicarlo. È come fare del sesso realmente e via chat: ci possono essere dei piaceri, certo, ma non sarà mai la stessa cosa, nemmeno avvicinabile!
Bisognerebbe concentrare l’attenzione sul riportare dignità al teatro, al mestiere del teatro che in Italia non esiste. Io sono un drammaturgo e in quanto tale lavoro esattamente come il panettiere o l’idraulico. In una prospettiva extra-Italica è molto diverso: il teatro, la recitazione e quello che accompagna (regia, scrittura etc.) vengono insegnati fin dalle elementari. Io ho pensato di andarmene ma alla fine sono rimasto, un po’ per pigrizia e un po’ perché m’illudo che, prima o poi, qui il domani possa essere migliore dell’oggi. Fondamentalmente, al teatro manca la dignità: i laboratori di teatro si tengono negli stessi luoghi dove si balla zumba. Il teatro non è un hobby, non è una terapia! Questo tipo di convinzione toglie dignità al mestiere.
Quali sono i difetti principali del mestiere?
Primo, se vuoi scrivere per il teatro, dove vai e cosa fai? Chi è il tuo datore di lavoro? Campi solo se hai una piccola rete di contatti e questo è un grande problema. Secondo, molto grave è la sottovalutazione/sopravalutazione dei personaggi dello spettacolo, non solo strettamente teatrali, anzi: in Italia infatti si confonde una showgirl con un’attrice, questo è sbagliato e fortemente forviante. Un terzo tasto critico è il super io che appartiene a quasi tutti i miei colleghi, quel credere di regalare gioia, sensibilità, amore. Bisogna abbassare questa asticella per dare una dignità al teatro come lavoro, perché così va trattato. Pensare il contrario è distruttivo e controproducente.
Cosa ne pensi del passaggio da teatro a cinema?
È sempre un rischio, però dobbiamo anche essere realisti: possiamo vivere di teatro? No. Gli attori spesso sono chiamati ad abbassarsi al compromesso per potersi inserire in una rete di contatti valida. Purtroppo, la parola che regna in questo mondo è proprio compromesso. Io ho sempre lottato con la mia coscienza ma negli ultimi anni ammetto di essermi ammorbidito.
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